L’intervista a Pietro Spataro
di Asia Guerreschi
Alla conferenza sul clima, questo novembre si discuterà dei crediti di carbonio per la riduzione delle emissioni. Riguarda anche il numero in aumento di attività private che si occupano della misurazione di emissioni e di proposte per compensarle, come la start-up Risearth. Con il suo fondatore di soli 27 anni Pietro Spataro abbiamo analizzato le criticità e le aspettative.
In previsione della Conferenza mondiale sul clima (COP26), che si terrà a novembre di quest’anno a Glasgow, il tema del cambiamento climatico è ora più emblematico che mai. Durante la conferenza si discuterà anche l’articolo 6 dell’accordo di Parigi che in particolare riguarda gli obblighi di riduzione delle emissioni attraverso i cosiddetti “crediti di carbonio”.
D: Ci puoi raccontare cosa ti ha portato a fondare Risearth e il tuo interesse per il futuro del nostro pianeta?
PS: Ho cominciato a interessarmi al cambiamento climatico all'università quando studiavo scienze della terra. Da quel momento ho spostato il mio focus sulla climatologia e sullo studio del clima del passato. Ho quindi avuto la possibilità di studiare il clima presente e quello passato attraverso dei dati provenienti dai ghiacciai delle calotte polari, da piccole conchiglie chiamate foraminiferi, dagli isotopi e dalle grotte.
Integrare il clima attuale con le conoscenze del passato a reso allarmante la crisi climatica a livello personale. Ho quindi scelto di focalizzarmi sul management e sulla gestione dello sviluppo sostenibile ed ho scritto una tesi sulla decarbonizzazione del paese Italia. Quello che ho scoperto è che il trend di riduzione delle emissioni italiane è troppo e questo anche a causa della poca consapevolezza di tutti i portatori di interesse, siano essi aziende, associazione o comuni cittadini.
Risearth, in questo senso, permette di aumentare la consapevolezza delle aziende, riducendo di molto i costi legati alla consulenza ambientale e climatica, e le aiuta a integrare l’impatto climatico all’interno del business stesso. A sua volta un individuo può fare la stessa cosa anche se in versione più piccola e avere la consapevolezza del peso delle azioni che intraprende.
D: Perché un’attività come Risearth è fondamentale?
Risearth è fondamentale perché molto spesso la lotta al cambiamento climatico si trasforma in una lotta ambientale di carattere generico invece che una lotta alle emissioni di CO2, metano, monossido d'azoto, e così via. Possiamo parlare di soluzioni disruptive come l'idrogeno o simili ma la verità è che non possiamo smettere di emettere un determinato quantitativo di CO2 dall'oggi al domani. E dobbiamo considerarla una lotta globale, non possiamo scordarci dei paesi meno sviluppati e con meno capacità economiche di noi.
La compensazione delle emissioni ci dà modo di contrastare quelle emissioni che non possono che essere inevitabili, pensiamo alla produzione di alimenti, materiali per l’edilizia, strumentazioni di ogni genere e il consumo di energia elettrica. Inoltre, la compensazione risulta essere oggi l'unica soluzione che ci permette di contrastare le emissioni che abbiamo prodotto nel passato. Ci basta compensare le emissioni del 2020 o del 2019 e abbiamo fatto qualcosa che la costruzione di pannelli fotovoltaici, l’acquisto di macchine elettriche e la migrazione di cucine e caldaie a metano in elettriche non possono fare.
Come ho anticipato, la compensazione è una soluzione che aiuta i paesi meno sviluppati dando risorse, capacità e know-how che non sarebbero trasferiti senza tale processo. Compensare significa costruire impianti per l’energia verde, aumentare l’efficienza di pratiche (un esempio sono le pratiche domestiche di cottura degli alimenti, che vengono migliorare attraverso la costruzione di forni, o di bollitura delle acque per assicurare la salubrità, che vengono sostituite dall’uso di “semplici” filtri) in aree poverissime o, ancora, la lotta alla deforestazione che sta distruggendo i polmoni verdi del pianeta.
D: Quali sono le criticità di questo argomento e come mai è un argomento così difficile da gestire?
Compensare per pulirsi la coscienza
La principale critica è che attraverso la compensazione si vada a ripulire la coscienza di cittadini e, soprattutto, aziende. Ciononostante, la struttura formale della compensazione è fatta proprio per rimuovere/assorbire la medesima quantità di CO2 che viene emessa. Per questa ragione, un’azienda che compensa permette la rimozione/assorbimento di un quantitativo di CO2 che per forza di cose sarebbe finita in atmosfera.
Compensazione ha un valore basso
Un’altra obiezione, e questa personalmente è quella più coerente, riguarda il costo e la trasparenza dei progetti attraverso i quali si effettua la compensazione. Il costo per compensare 1 tonnellata di CO2 varia largamente, da meno di 1 euro ai 30-40 euro. Il costo medio a tonnellata acquistato dalle aziende è però di soli 3 euro. Un costo davvero troppo basso.
Per questa ragione molte commissioni di ricercatori (ad esempio Oxford Principles for Net Zero Aligned Carbon Offsetting) stanno chiedendo agli “intermediari”, come Risearth, di acquistare solo crediti di carbonio (tonnellate di CO2 per la compensazione) che abbiano un prezzo adeguato, quale ad esempio 10 euro a tonnellata o più. L’età dei crediti provenienti dai progetti (vintage) è altrettanto importante. A volte possono essere trovati sul mercato crediti generati da progetti che hanno avuto luogo più di 3 o 5 anni fa. Vista l’età dei crediti stessi, spesso i prezzi si abbassano e diventano allettanti per tutte quelle aziende che sono interessate ad acquistarne in larga quantità. Per questa ragione gli intermediari devono garantire l’acquisto di crediti ad un prezzo adeguato, il più possibile contemporanei, che abbiano la massima trasparenza e con un impatto positivo sulle comunità locali.
Il cittadino non ha tutta la responsabilità, chi domanda come le aziende riducono le loro emissioni?
Un’ultima obiezione riguarda invece la vendita di crediti di carbonio agli individui a cui si affianca spesso il calcolo della carbon footprint come test iniziale e gratuito. L’obiezione che viene fatta è più o meno la seguente: attraverso il calcolo della carbon footprint (calcolo di emissioni) e la compensazione si incolpa il cittadino invece che additare le grandi aziende che producono milioni di tonnellate di CO2.
A questa obiezione mi piace rispondere che nessuno vuole incolpare il cittadino ma che personalmente ognuno ha un impatto: dalla scelta di cosa mangiare a cena o dove comprare determinati prodotti/servizi, fino al prendere la macchina o la bici. Devo poi rompere una lancia a favore della carbon footprint personale, tutti sappiamo che questo concetto è stato originato da British Petroleum per trasferire una parte delle responsabilità del cambiamento climatico sulle persone, però questa innovazione è stata “digerita” in modo positivo dalle persone, il che le ha portate a sentirsi più informate e disponibili a fare la loro parte. Misurare le proprie emissioni è diventato senza ombra di dubbio il primo passo per compensare/ridurre le proprie emissioni
D: Come può aiutare l’accordo di Parigi?
L’accordo di Parigi è - almeno nel settore della compensazione - atteso come si attende una benedizione o una maledizione. L’accordo di Parigi non cambia direttamente le carte in gioco ma può avere delle ripercussioni indirette davvero pesanti.
Partiamo dal presupposto che il mondo della compensazione si divide in mercato regolamentato, quello nel quale i protagonisti sono i governi, e quello non-regolamentato o volontario, attraverso il quale tutti gli altri stakeholders possono acquistare, vendere e scambiare crediti di carbonio. Ironicamente, il mercato regolamentato è maggiormente criticabile di quello volontario. Questo poiché il cercato volontario può permettersi una maggiore flessibilità nello sviluppo di progetti, nel monitoraggio e nella vendita dei crediti prodotti. Il mercato regolamentato si basa invece su linee guida ormai obsolete. L’accordo di Parigi potrebbe risolvere questa obsolescenza del mercato e, a seconda che le nuove regole siano altamente stringenti oppure no, potrebbe influenzare in modo positivo o negativo il mercato volontario. Esempi potrebbero essere l’introduzione di un prezzo minimo, una regolamentazione sull’età dei crediti emessi sul mercato, sul monitoraggio dei progetti o un monitoraggio sull’acquisto finale.
La seguente tematica ci dimostra anche che, come è già risaputo, i soldi giocano un enorme potere decisionale. Nonché, ridurre le emissioni non è facile dato che include molti attori come le grandi aziende, i cittadini, ma anche i politici e leader che non sempre sono pronti a prendere decisioni coraggiose per aiutare il pianeta. Anche nel settore privato, come per Risearth, bisogna essere coscienti che la propria attività abbia un valore effettivo e non sia soltanto un mezzo per guadagnare visto il mercato in crescita per questo tipo di business.
Quest’anno è decisivo e potrebbe cambiare come guardiamo e agiamo per combattere il cambiamento climatico. Non è una scelta opzionale, o atto di volontariato, è ora arrivato il momento di essere onesti e aperti alla questione. Bisogna agire e bisogna farlo bene, sia nel settore privato come per Pietro che da parte dei politici che questo Novembre li aspetta una grande responsabilità