Sonia Albanese 

L’emergenza Covid-19, ha messo a dura prova negli ultimi due mesi tutto il sistema sanitario da Oriente a Occidente , essendosi diffusa a macchia d’olio in settantasette paesi consecutivi del mondo .


Di fronte alla pandemia che si è manifestata , anche essEndo immersi in essa in prima linea, abbiamo potuto osservare la tenuta e la compliance dei diversi sistemi sanitari e dei diversi governi ed anche e soprattutto del nostro sistema Italia.
Fino a due anni fa avevamo la percezione sicura che il nostro sistema sanitario ed anche le scelte governative attuate in tema di sanità fossero indirizzate al meglio, e che i tagli attuati permettevano comunque al sistema di rimanere nel range di sicurezza per le cure primarie.
Infatti andando ad analizzare più da vicino la situazione italiana prima dell’emergenza , stando ai dati dell’Oecd e dell’European Observatory on Health Systems and Policies, nel 2017 la nostra spesa sanitaria è stata pari all’8,8 % del PIL, un punto percentuale in meno rispetto alla media dell’Unione Europea del 9,8 %, questo sempre nell’ottica del miglioramento della spesa sanitaria pubblica “aggredibile”.
L’Italia inoltre – dopo una riduzione di oltre il 10% tra il 2011 e il 2016 – ha registrato dopo Cipro il secondo tasso più basso di mortalità prevenibile, cioè di decessi che possono essere evitati, grazie a interventi sanitari e di prevenzione primaria.
Un indicatore, questo, utilizzato proprio per valutare l’efficacia dei sistemi sanitari.
Con queste premesse abbiamo tutti pensato che il nostro sistema paese avesse potuto reggere qualsiasi impatto di patologia, e che si sarebbe adattato a qualsiasi emergenza , tranne che, l’attuale emergenza Covid-19, ci ha indotto a capire come ci siano “scelte attuabili in caso di pace e scelte attuabili in caso di guerra” dove le risorse non possono essere gestite con il risparmio e senza margine di scarto.
Il nostro sistema sanitario, istituito nel 1978, è un sistema Beveridge , universalistico, equo, teoricamente gratuito nell’erogazione delle prestazioni e finanziato attraverso la fiscalità generale del finanziamento pubblico dello Stato, come ribadito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, che indica “la salute come un diritto del cittadino e interesse della collettività” .
Ma per comprendere l’organizzazione dei Servizi Sanitari nel nostro Paese bisogna distinguere il piano normativo da quello gestionale.

In Italia sul piano normativo spetta allo Stato definire a temini di legge i principi fondamentali del Sistema Sanitario e alle Regioni darne attuazione programmatica.

Scelta questa codificata nella Costituzione del 1948 e rafforzata con la riforma del titolo V del 2001.

Sul piano dell’offerta dei Servizi Sanitari, l’erogazione e l’organizzazione dei servizi sanitari è rimessa a partire dal 1992 alle Regioni, dopo il fallimento della gestione delle Usl, che era stata demandata ai Comuni..

Il nostro Servizio Sanitario non è mai stato “Statale” ovvero gestito direttamente da amministrazioni statali, neanche con il precedente sistema mutualistico.

Pertanto le Regioni attraverso le Aziende sanitarie rappresentano il livello di Governance chiamato ad assicurare le prestazioni sanitarie alla popolazione, e allo stato attuale circa l’80% del bilancio di ciascuna Regione è oggi finalizzato alla spesa sanitaria.

Ma cosa è accaduto con l’emergenza Covid-19?

L’emergenza ha riportato la necessità di decisione e di intervento a livello centrale , rendendo necessaria l’attivazione del sistema nazionale della Protezione civile, al fine di assicurare un supporto coordinato delle risorse aggiuntive e della distribuzione delle stesse, come ad esempio gli approvvigionamenti di medicinali , dispositivi medici, nuovi padiglioni , personale sanitario.

Questo non è accaduto solo per l’approvvigionamento ma anche per le decisioni necessarie per il contenimento della emergenza a livello territoriale e per le politiche di difesa e di comunicazione , per tutte queste è stato necessario ricentralizzare.

In questo recente scenario si sono dimostrate criticità legate proprio alla diversità applicative dei sistemi sanitari regionali attuate in questi anni di federalismo nell’ambito delle Regioni, sia in termini di organizzazione, che di rapporto pubblico-privato che di livello di know-how , cosa che in parte era già nota, ma che nell’emergenza si è palesata ancora di più.

Esempio ne sono stati i ritardi nell’utilizzo degli strumenti telematici fra le diversi Regioni, ( es.ricetta elettronica) o la mancanza del numero unico dell’emergenza 112, o l’utilizzo della medicina telematica.

Senza parlare delle difficoltà tecniche e di risorse presenti nelle Regioni del Centro-Sud, alcune in piano di rientro.

Quindi la prima riflessione che emerge è che, pur nel rispetto del decreto legislativo 502/92 e quindi della trasformazione delle unità sanitarie locali in Aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale con responsabilità finanziaria e programmatica alle Regioni, questo sistema non può funzionare senza il confronto operativo costante con la parte centrale del Sistema che preveda uno scenario di salute non al risparmio ma in movimento costante e dotato di un controllo capillare sul territorio con un modello sanitario ripetibile e verificabile in ogni Regione.

E’ infatti stato evidente a tutti come nel confronto fra la diffusione dell’emergenza fra le Regioni del Centro Nord, da sempre virtuose rispetto ai piani di rientro, ma anche ben organizzate rispetto all’utilizzo delle nuove tecnologie, la tenuta migliore si sia avuta in Veneto, dove la progettualità sanitaria territoriale è risultata maggiormente presente.

Cosa fare per il futuro?
Bisogna sicuramente incanalare una ricalibratura del welfare con un modello di diffusione territoriale di erogazione delle prestazioni che sia ripetibile e omogenea in ogni Regione e che si avvalga della telemedicina non solo nella fase preventiva e diagnostica ma anche nella fase dell’outcome sanitario,
Questo progetto andrebbe attuato per tempo, come potenziamento della Struttura Sanitaria già esistente ,e andrebbe attuato come una opportunità da cogliere per riconfigurare il sistema di welfare italiano in una fase, questa , dove l’emergenza ci ha insegnato che la tecnologia deve essere messa al servizio della comunità per rendere il sistema sanitario agile e connesso ad eventuali variazioni critiche, anche a livello più periferico.
In Italia, il processo di innovazione è stato già avviato ma in modo lento e non completamente governato, così che oggi sono molti gli aspetti del Sistema sanitario nazionale che attendono ancora di essere ridefiniti e attuati in tale ottica.
Tanto più che , al di fuori dell’emergenza, i processi di invecchiamento e di maggiore cronicità hanno chiesto servizi sanitari e sociosanitari, e l ’aspettativa di vita in buona salute e libera da disabilità sta continuando drammaticamente a ridursi nel confronto con altri paesi europei, lasciando emergere l’inderogabile necessità di costruire al più presto servizi in tale direzione, gestiti in ambito territoriale e domiciliare, con una forte inclusione delle reti familiari, comunitarie e di prossimità.
In questa prospettiva le tecnologie della informazione e comunicazione possono dare un contributo decisivo contribuendo, se regolate e governate centralmente,sia a configurare un cruscotto centrale di monitorizzazione epidemiologica , sia incrementando perifericamente le attività di prevenzione, attraverso l’uso del self-tracking (disciplina della cura di sé, basata sul monitoraggio delle attività quotidiane, in particolare quelle sportive e alimentari), che della riabilitazione che delle cure territoriali/domiciliari anche in ambito specialistico: si considerino in tal senso tutte le opportunità derivanti dalla telemedicina, così come dall’uso della domotica e della robotica.
L’applicazione delle tecnologie dell’informazione e comunicazione nel campo della salute e della sanità metterebbero in luce la capacità dello Stato, in quanto principale produttore di politiche e di servizi, di creare e sostenere l’innovazione come motore di processi di trasformazione, orientando la ricerca di base in direzioni virtuose e sostenendo lo sviluppo di ecosistemi favorevoli all’innovazione, nel rispetto dei valori fondanti della nostra costituzione.

22-04-2020
Autore: Sonia Albanese
Cardiochirurgo Pediatrico Responsabile UOS Cardiochirurgia Aritmie. Ospedale Bambino Gesù Manager gestionale.
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